La prima stagione di In Treatment era stata una rivelazione, una serie declinata in maniera originale e insolita, dalla caratterizzazione così forte da non avere praticamente nessun corrispettivo. La seconda stagione, però, mi è sembrata una copia sbiadita degli esordi.
Il problema principale, dal mio punto di vista, è che i protagonisti di queste puntate ricordano troppo quelli che li avevano preceduti. C'è sempre l'adolescente problematica, la tizia con gli ormoni in subbuglio, il maschio alfa (o presunto tale) e la coppia in crisi. Certo, le storie sono diverse, ma l'ossatura rimane quella, e l'esecuzione in generale appare più stanca, con l'unica eccezione forse rappresentata dalla terapia del dirigente d'azienda.
Insomma, la struttura di In Treatment richiede una grandissima abilità nella scrittura dei dialoghi, nella sceneggiatura degli episodi, e nella caratterizzazione dei personaggi... un'abilità che in questa seconda stagione è un po' latitata. La terza (e ultima) l'ho iniziata a vedere, e per ora il giudizio è sospeso... ma ne riparleremo, ovviamente.
La terapia di Walter Barnett (John Mahoney), una delle poche cose che salvo in questa stagione |
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