Il servizio del TG1 andato in onda ieri sera, in cui si sottolineava come l'autore della strage norvegese fosse un appassionato di videogiochi, ha suscitato una serie di articoli e post indignati su tutti i siti specializzati.

Ha ancora senso indignarsi per queste sparate ai danni del nostro amato hobby? Sicuramente sì. Ha ancora senso metterla sul piano della morale, della discussione, del dibattito ragionato? Secondo me, no.

Parliamoci chiaro: la televisione di massa si sostiene grazie alle entrate pubblicitarie e - il sospetto talora è più che lecito - grazie agli agganci con il mondo della politica e dell'industria. Chi paga i giornalisti non è il cittadino che sborsa i soldi del canone, ma l'inserzionista che acquista gli spazi pubblicitari, o (nei casi più loschi) la parte politica che li sponsorizza e li sostiene. Per questo, a certi livelli, il lavoro di facciata del giornalista consiste nel fornire informazioni al suo pubblico, ma il suo - vero - lavoro consiste nel consegnare il suo pubblico ai suoi sostenitori e ai suoi sponsor.

Industria (e politica) e giornalismo, come sempre, e sempre, e sempre
Per questo, le notizie tendono regolarmente ad assumere la forma del gossip e dello scandalo - allo scopo di attirare e solleticare il popolo bue - piuttosto che quella dell'approfondimento e della discussione ragionata. Per questo, quando c'è da trovare un capro espiatorio, lo si individua sempre in quei settori che non hanno una voce importante e che possa controbattere in maniera forte.

Attaccando i videogiochi il massimo che può capitare è di provocare l'irritazione degli appassionati, che si sfogano sui loro siti e, se proprio sono infervorati, organizzano una qualche raccolta di firme virtuali. Altri settori godono di un approccio molto più cauto: se ieri il TG1 avesse calcato la mano sull'estremismo cattolico dell'artefice della strage, sulle sue posizioni di estrema destra, o sulla sua rampante xenofobia, oggi assisteremmo a ben altro putiferio.
Finché tizi così non saranno a capo del mondo...
La verità è che ciò che ci viene passato come "informazione", specialmente a certi livelli, in realtà non è che l'ultimo stadio di complessi e arzigogolati giochi di potere, un ultimo stadio annebbiato dai fumi della retorica e dei moralismi da quattro soldi, con il precipuo scopo di distrarre il pubblico dai punti davvero significativi delle varie questioni.

È per questo che penso che sia inutile illudersi che si possa discutere con degli interlocutori del genere - il tema degli effetti psicologici dei videogiochi (così come degli altri media) è complesso e sfaccettato, e la letteratura scientifica presenta ricerche sia a favore della "causa" videoludica che contro la stessa. Ma l'interlocutore giornalista (così come l'interlocutore politico) spesso (e, ripeto, soprattutto a certi livelli) non è interessato alla discussione ragionata - i suoi interessi sono altri, ed è solo per motivi di propaganda che tira in ballo questioni etiche e morali.
Paradossalmente - o no? - chi prende troppo sul serio le retoriche roboanti dei media e delle ideologie finisce per diventare un pazzo furioso, e per essere scomunicato dagli stessi cantori di quelle retoriche
Finché il settore dei videogiochi non avrà un peso politico in Italia, le cose rimarranno come sono ora. Cosa possiamo fare quindi noi videogiocatori, che continuamente vediamo insultata la nostra intelligenza e la nostra dignità da uscite e sparate sensazionalistiche come quella del TG1?

Qualcuno (purtroppo non ricordo chi) diceva che l'unico momento in cui si fa veramente politica è quando si va al supermercato. Ecco, se i videogiocatori si muovessero all'unisono, e cominciassero a boicottare tutti i prodotti pubblicizzati prima, durante e dopo le trasmissioni che li trattano come imbecilli, forse comincerebbero a contare qualcosa di più. Una letterina collettiva che dicesse "caro giornalista X, tu ci tratti da imbecilli, noi ti boicottiamo i tuoi sponsor" - ovviamente da girare anche agli sponsor stessi - probabilmente avrebbe un peso maggiore di qualsivoglia raccolta chilometrica di firme.
Certe cose hanno sempre un loro peso
Probabilmente è una cosa che non si realizzerà mai, ma in fondo è ora che noi videogiocatori cominciamo ad aprire gli occhi su come veramente gira il mondo, altrimenti rimarremo sempre una categoria debole e facilmente strumentalizzabile, a cui al massimo tirare un osso ogni tanto, per farci incazzare sui forum e tra i commenti dei blog.

Almeno fin quando uno dei soliti noti non deciderà che i videogiochi sono un buon affare, e allora "magicamente" la violenza nei videogiochi non sarà più questo enorme problema, così come - l'avete notato? - da qualche anno sembra che la violenza nei film non esista più.

BONUS TUTTI PER UNO EDITION:
Poco dopo la pubblicazione di questo post - per questo lo segnalo solo ora con questo edit - è nato su Facebook il Movimento contro la disinformazione sui videogiochi, promosso in primis dal buon Antonio "Tanzen" Fucito di Multiplayer.it.

Per quanto non sia sicuro del successo di iniziative del genere - per tutti i motivi che ho spiegato sopra - credo che comunque sia più che positivo riuscire a creare una voce unica e che goda del supporto di tutti gli appassionati, e del resto non è detto che, forti di grandi numeri e del supporto di molte realtà importanti della scena videoludica italiana, non si riesca davvero a realizzare qualcosa. Iscrivetevici!