"La nostra vita non è finita con l'Amiga (beh, a dire il vero, in parte sì!)". Questo era il messaggio che Andreas Tadic lanciava ai suoi fan in un'intervista di tanti anni fa.

Andreas aveva mosso i suoi primi passi nella demoscene svedese, ma divenne noto ai più quando insieme a Rico Holmes (grafico), Allister Brimble (musicista) e Martyn Brown (producer e direttore creativo) realizzò i titoli di maggior successo di Team 17, la software house che forse più di tutte diede (purtroppo vane) speranze agli ultimi anni dell'Amiga, con titoli quali Alien Breed, Project X e Superfrog.

Nella stessa intervista, alla domanda "Cosa fai in questi giorni?", Andreas rispondeva "Sto programmando X2".

LA VITA DOPO L'AMIGA

La dipartita della Commodore nel 1994 aveva lasciato molti dei piccoli team europei che gravitavano intorno all'Amiga senza una piattaforma di riferimento. L'hardware dei PC - per quanto i tempi delle CGA a quattro colori fossero lontani - non era ancora in grado di eguagliare la fluidità degli arcade su Amiga, per quanto i 256 colori un po' scattosi delle prime VGA fossero perfetti per le avventure grafiche, gli rpg più o meno action, e soprattutto per quel Doom che nel 1993 cambiò per sempre la concezione di videogioco su PC.

Dall'altro lato c'erano le console, ma il mercato dei prodotti Sega e Nintendo era dominato da titoli americani e giapponesi: l'Europa contava poco. A cambiare le carte in tavola arrivò la prima PlayStation: Sony instaurò fin da subito, attraverso la Psygnosis ed il suo Wipeout, un rapporto privilegiato con l'Europa, ed in effetti la PSX è stata forse la prima e (finora) unica console dove i team di sviluppo europei abbiano potuto davvero giocare un ruolo di primo piano.
Il primo Wipeout provocava copiose epistassi, come illustrato in una pubblicità dell'epoca

IL GIOCO DELLA VITA

Così, anche Team 17 tentò la strada della PlayStation. Per il loro debutto, Andreas e soci decisero di dare un seguito a quello che era stato il loro titolo Amiga forse tecnicamente più impressionante: Project X.

Il frutto dei loro sforzi, telegraficamente intitolato X2, non fu purtroppo il successo che Team 17 sperava. Erano i tempi del primo "vero" 3D: tutto ciò che non era fatto di poligoni e texture veniva visto come irrimediabilmente vecchio ed obsoleto, ma il team britannico decise di ignorare la moda del momento. Tuttavia, anche chi non si faceva intimidire dall'aspetto "old school" di X2, non poteva non rilevarne il gameplay assolutamente legnoso, assurdamente difficile e privo di ispirazione.

Eppure, X2 non mancava di far battere il cuore di ogni amighista duro e puro. Si trattava, a tutti gli effetti, di un gioco Amiga - sviluppato però per una macchina infinitamente più potente.
C'era un po' di Amiga anche nella PSX
Tadic era abituato a fare i salti mortali per visualizzare fluidamente sulla macchina Commodore una grafica a 32 colori (la maggior parte dei giochi Amiga ne gestiva la metà). Sulla console Sony, non ebbe problemi a far girare a 50 frame al secondo un gioco che di colori ne aveva 32768. Tutti questi colori erano distribuiti su tre livelli di parallasse completamente indipendenti - in pratica, il gioco aveva tre sfondi distinti sovrapposti l'uno sull'altro che, muovendosi a velocità differenti, davano un'idea di profondità.

Avere in contemporanea sullo schermo tre fondali distinti, più la navetta del giocatore (o le navette dei giocatori, in quanto si poteva anche giocare in cooperativa), più i nemici, più i proiettili e tutto il resto, significava aver bisogno di molta memoria per tutta questa grafica - memoria di cui, notoriamente, la PSX scarseggiava. Molti picchiaduro bidimensionali Capcom che vennero convertiti sulla console Sony dovettero subire massicci tagli nelle animazioni dei personaggi proprio per questo motivo. Ovviamente per Andreas questi erano problemi da donnette, e per X2 implementò un sistema che caricava continuamente dal CD i dati grafici, col risultato che gli sfondi erano in realtà delle enormi schermate caricate man mano dal disco.
Anche gli sprite abbondavano in dimensioni
Ovviamente non mancavano rotazioni, zoom, trasparenze... il coder svedese implementò ogni genere di trucco e di trovata nel gioco, inclusi cambi della direzione di scorrimento (da orizzontale a verticale) e momenti in cui l'azione si spostava da un piano all'altro dello sfondo, muovendo l'inquadratura in profondità.

Rico Holmes, che curò la grafica del gioco, non volle essere da meno. Anche lui ovviamente era abituato ai limiti dell'Amiga, dove, grazie ad un'eccezionale bravura nella scelta dei colori e nella creazione delle sfumature a mano, pixel per pixel, riusciva a creare schermate che - nonostante la bassa risoluzione - non presentavano nessun aliasing e sembravano dotate di molti più colori di quanti non ne avessero in realtà.

Immaginate cosa fu in grado di fare sulla PSX - e con il codice di Tadic che gli permetteva una libertà assoluta. Gli sfondi di X2 sono dei veri e propri dipinti in pixel art, gigantografie curate in ogni minimo dettaglio che lentamente si disvelano sullo schermo. In uno dei primi livelli, ad un certo punto, sullo sfondo si intravede in lontananza una sfinge con una testa di leone - messa lì così, perché sì, perché lo si poteva fare e lo si è fatto. Di solito le parti in lontananza degli sfondi sono accennate, poco curate, ma nel caso di X2 ogni singolo pixel è piazzato lì dov'è con cura e precisione, non importa che faccia parte della grafica in primo piano o dell'ultimo livello di parallasse.
La sfinge leonina
A onor del vero va detto che Holmes era tanto bravo nel disegnare gli sfondi, quanto poco ispirato nella creazione degli sprite. Il design delle navette protagoniste, e dei vari nemici, è purtroppo terribilmente generico - inoltre, a differenza degli sfondi, creati a mano, gli oggetti in movimento erano invece frutto di rendering 3D, e per questo sembravano "appiccicati" sullo schermo.

Altrettanto generica e poco ispirata la colonna sonora, composta per l'occasione da Bjorn Lynne (in arte "Dr. Awesome") al posto del solito Allister Brimble. A parte qualche passaggio più ispirato, siamo di fronte ad una sequela di brani generici da techno anni 90.

Della (non) giocabilità, abbiamo già parlato all'inizio, bisogna però aggiungere che la versione giapponese di X2 (intitolata X2: No Relief, e distribuita da Capcom) venne ritoccata per bilanciare meglio la difficoltà, e chi l'ha provata riferisce che il titolo ne ha grandemente beneficiato.
Anche se un gioco con questo stile dubito fosse di richiamo per il mercato giapponese
In conclusione, il debutto di Team 17 su PlayStation è difficile da giudicare. Come gioco, non è davvero granché. Come qualità artistica, ha alti e bassi. Come livello di programmazione, è ammirevole... ma legato al passato.

X2 fa lo stesso effetto che farebbe oggi un televisore a tubo catodico aggiornato secondo tutte le più recenti tecnologie. Sotto certi aspetti sarebbe persino superiore alle sue controparti LCD, ma in generale sarebbe semplicemente una reliquia del passato.

E così X2: la sua grafica - specialmente oggi che la pixel art sta venendo riscoperta - è molto più guardabile di quella di tantissimi titoli 3D della prima PlayStation, che all'epoca erano spettacolari e innovativi, ma oggi sono solo un orribile ammasso di poligoni informi e texture sgranate. Il modo in cui è programmato - oggi che siamo consapevoli di cosa poteva e non poteva fare la PlayStation - rimane degno di nota.

Ma X2 è frutto di una concezione passata, superata e, vogliamo dirlo? anche un po' provinciale del videogioco. È frutto della concezione amighista, di quei tempi in cui i nostri orizzonti non andavano oltre l'Europa e, ignari della giocabilità dei titoli giapponesi, di cui avevamo solo un timido assaggio in sala giochi, incensavamo titoli che potevano avere una qualche validità ludica solo in quel mondo ristretto.
Alcuni titoli pubblicati dalla stessa Team 17 facevano parte a pieno titolo della categoria dei sopravvalutati...
Ma è frutto anche di quella filosofia per la quale la macchina andava piegata, sviscerata, analizzata finché non se ne conoscevano tutti i segreti. Segreti che magari, più che a produrre un gameplay degno di nota, servivano a realizzare mille effetti ed effettini, magari prima ritenuti impossibili, ma nella maggior parte dei casi fini a sé stessi.

Erano tempi in cui la macchina, più che essere un veicolo di business, era una sfida per programmatori, grafici e musicisti. E il tutto, inutile negarlo, aveva indiscutibilmente un suo fascino - quello stesso fascino di cui, nonostante tutto, è pervaso X2.
Quel fascino un po' perverso delle robe anni 90
PRO:
Un giocone Amiga su PSX
La bravura di Andreas Tadic
Gli sfondi di Rico Holmes

CONTRO:
Un giocaccio Amiga su PSX
Il design spesso poco ispirato
La giocabilità inesistente

GIUDIZIO FINALE: 4
Eppure...

BONUS LONGPLAY EDITION:
Quello fatto bene!


BONUS ESTETICA EDITION:
Rico Holmes continua ancora oggi a lavorare di grafica ed ha un sito dove tiene esposte le sue opere, molte delle quali ricalcano lo stile dei suoi vecchi lavori e della grafica dei giochi Amiga in genere.
Tipo questa, para para all'intro di Wrath of the Demon