Alla fine del 2003 uscì zitto zitto questo Prince of Persia: The Sands of Time, titolo che segnò il ritorno sulle scene di Jordan Mechner, a ben sei anni di distanza dal suo ultimo gioco, quel The Last Express di cui si dice un gran bene e che prima o poi dovrò recuperare.

A livello di critica, Prince of Persia: The Sands of Time fu un successo universale: votoni ovunque (Metacritic riporta un metascore del 92%, altissimo specie se si considera che all'uscita l'hype era pressoché nullo) e premi e riconoscimenti a non finire. A livello di vendite le cose andarono meno bene (ma su questo punto ci torneremo alla fine), e spinsero Ubisoft a cambiare rotta per lo sciagurato sequel Prince of Persia: Warrior Within.

All'epoca dell'uscita di PoP: TSoT, il genere dei platform 3D era rappresentato dall'ormai stanca serie dei Tomb Raider, che proprio nel 2003 toccava forse il suo punto più basso con Tomb Raider: The Angel of Darkness. Forse in tutto ciò qualcuno potrebbe vederci una specie di giustizia divina, dato che l'osannatissimo gameplay del primo Tomb Raider (e di tutti i seguiti, fino appunto all'Angel of Darkness) era una palese scopiazzatura delle meccaniche del primissimo Prince of Persia, solo riproposte e riadattate al 3D. Simbolicamente, il principe era tornato ad occupare il posto che gli spettava, usurpato per anni dalla pettoruta Lara Croft.

Che poi io posso pure capire le ultime versioni, ma pensare che c'era gente che all'epoca si faceva film porno in testa con QUESTA versione di Lara...
Il titolo di Mechner abbandonava completamente la struttura "a blocchi" dell'antenato (e dei Tomb Raider pre-Anniversary) per offrire un gameplay estremamente più fluido e responsivo, sorretto da un sistema di controllo semplice e lineare. Come niente fosse Mechner introdusse anche una possibilità di movimento fino ad allora inedita, ovvero il wall run, che in seguito sarebbe stata anch'essa copiata infinite volte, e lo fece ben prima che esplodesse la moda del parkour.
La possibilità di correre lungo i muri era sottolineata fin dalla copertina
La vera magia di Prince of Persia: The Sands of Time fu però quella (tipica di Mechner) di creare un'esperienza di gioco organica in cui gameplay, level design e narrazione si compenetravano e sostenevano a vicenda. È proprio in questa organicità che, secondo chi vi scrive, sta la differenza tra il videogioco-prodotto, costruito con mentalità ingegneristica (e non di rado con un occhio molto più che di riguardo ai dettami marketing), ed il videogioco frutto invece di una visione (possiamo dire artistica?) generale, che permea tutto, dal level design alle animazioni alle cutscene.

Lungo le dieci ore di gioco, Mechner ci fa calare completamente nei panni del principe, ce ne fa vivere l'epopea che lo porta dall'essere un ragazzino un po' arrogante ad una persona più adulta e matura attraverso una minuziosa cura dei dettagli, che comprende una vera e propria trasformazione fisica: all'inizio il protagonista è vestito e bardato di tutto punto, a sottolineare il suo portamento regale, ma man mano che si andrà avanti perderà in vari modi pezzi di vestiario, acquistando in compenso una maggiore umiltà.
All'inizio il principe è vestito tutto firmato e fa un po' il tamarro con le tipe
La trasformazione del personaggio è illustrata anche dal suo rapporto con Farah, la principessa straniera prigioniera di guerra del padre del principe, con cui il protagonista instaura un complesso rapporto che alterna battibecchi ad attrazione reciproca, e che più che nelle cutscene si delinea attraverso azzeccate linee di dialogo durante il gioco.

Farah è infatti in grado di aiutare il principe nella risoluzione di determinati enigmi, facendo affidamento sulla sua corporatura più minuta, ma in questi momenti invece di frasi scontate del tipo "we, guarda là, c'è una fessura che per me è troppo stretta, infilatici tu che io non ci passo", il principe si produce in gustose frecciatine del tipo "ehi, siamo un po' pelle e ossa, eh?".

Frecciatine che ovviamente si andranno ammorbidendo man mano che il rapporto tra i due diventerà più intenso: la caratterizzazione dei due protagonisti di PoP: TSoT è anni luce avanti rispetto alla media videoludica, ed in particolare il personaggio di Farah è un esempio di come in un videogioco si possa inserire una figura femminile sensuale e accattivante senza relegarla ad essere solo un popputo elemento decorativo.
Certo se il risultato finale è questo si può pure chiudere un occhio (o magari aprirli meglio tutti e due)
Tra i titoli più recenti forse solo Enslaved: Odyssey to the West ripropone una cura altrettanto minuziosa nelle dinamiche psicologiche dei rapporti tra i protagonisti, ma il titolo di Ninja Theory, pur essendo anch'esso sicuramente guidato da una "visione" forte, non è altrettanto organico nell'esecuzione. Mancano cioè quelle minuzie di cui il titolo di Mechner abbonda: ad esempio, dato che la narrazione è impostata come un racconto del principe stesso, quando si muore invece di un generico game over si sente il principe dire qualcosa del tipo "mmm no aspetta, non è proprio così che è andata".

Il punto più debole di Prince of Persia: The Sands of Time è, secondo molti, il combattimento - io mi sento di dissentire: anzitutto, anche qui narrazione e gameplay si intrecciano (per sconfiggere definitivamente i nemici, bisogna usare il pugnale delle sabbie del tempo, altrimenti dopo un po' si rialzano), e poi, a livello della pura giocabilità di queste fasi, si tratta di una versione più essenziale, ma anche meno banalmente facile, del sistema di combattimento di Assassin's Creed, e a tratti potrebbe anche ricordare alla lontana i combattimenti corpo a corpo di Batman: Arkham Asylum.
Persino Batman è un po' in debito con Jordan Mechner - ma che gli frega, tanto Bruce Wayne è sfondato di grana
Come detto all'inizio, le vendite del titolo non raggiunsero i risultati sperati, così per il seguito Ubisoft cambiò rotta, trasformando il principe nel solito antieroe da operetta, tanto pateticamente piatto nella caratterizzazione quanto monocorde e scontato nei dialoghi. Il sistema di gioco venne perfezionato e arricchito da nuovi elementi, ma si perse completamente la miracolosa organicità del primo titolo, così che giocando a Warrior Within (tradotto in Italia con Spirito Guerriero, e con il principe doppiato nientemeno che da Gabriel Garko...) si perdeva completamente la sensazione di essere calati in un'avventura, per ritrovarsi invece alla guida del solito omino attraverso una serie di livelli più o meno collegati tra di loro.
Da quel momento in poi "sali a casa mia che ti faccio vedere il gioco doppiato da Gabriel Garko" è diventata una delle frasi più tipiche dei nerd più rimorchioni
Ubisoft credette di correggere il tiro con il successivo The Two Thrones, che abbandonava i toni HOPROBBLEMIENESSUNOMICAPISCE di Warrior Within per tornare ad atmosfere più fiabesche, peccato però che ciò non significò anche un ritorno alla cura per il dettaglio e per l'esperienza di gioco in generale, così che alla fine la sensazione rimaneva comunque sempre quella di essere alla guida di un omino attraverso una serie di livelli più o meno collegati tra di loro, solo stavolta con un design diverso.
Ma anche in The Two Thrones, nonostante il presunto ritorno alle origini, non mancava la versione quattordicenne incazzato del principe, giusto per dare un colpo alla botte e uno al cerchio
A proposito di vendite, The Two Thrones si rivelerà il più debole della trilogia, ma a sorpresa, controllando su VGChartz, ho scoperto che sulla lunga distanza il più venduto è stato proprio The Sands of Time, con 1,88 milioni di copie, contro le 1,44 milioni di copie di Warrior Within ed il mezzo milione circa di The Two Thrones (tutti i dati sono relativi alla sola versione PS2). Una bella rivincita per il principe di Mechner, che a quanto pare anche nella realtà si è ritrovato col tempo dalla sua parte...
Cercate un buon titolo single player per PS3 in questi tempi di PSN down?
PRO:
Il gameplay fluido e la responsività dei controlli
La caratterizzazione dei protagonisti
La cura nel dettaglio e l'organicità dell'esperienza

CONTRO:
La grafica ormai è un po' datata, anche se il design è rimasto ottimo
E il principe non è doppiato da Gabriel Garko (per qualcunA potrebbe essere un difetto)
E l'atmosfera fiabesca purtroppo potrebbe allontanare qualcuno (peggio per lui!)

GIUDIZIO FINALE: 9+
Un gioiello.